Il termine l’ho scelto in analogia con ‘FILOSOFIA’.
Filosofia significa ‘amore della sapienza’: ricerca della sapienza.
Facendo riferimento soprattutto a Platone e Aristotele, per sapienza si intende il sapere sommo, la scienza dell’Assoluto che non conosce confini o limiti né possibilità di superamento.
Con la sapienza si attinge al Vero che poi, in termini ‘pratici’, diventa anche il Bene.
Un ‘ideale’ elevatissimo e, a mio modo di vedere, irraggiungibile.
Forse proprio per questo la filosofia è finita in un cul de sac.
Almeno là ci sono finiti i suoi cultori.
Alcuni hanno abbandonato il campo o per raggiunti limiti di età o per esaurimento delle idee.
La schiera più consistente e agguerrita si è asserragliata nelle università e negli Istituti specializzati a coltivare il già detto e scritto spaccando il capello in mille.
I più svegli (furbi?) si sono acquartierati dentro gli studi televisivi dove, in cambio di congrue prebende, si sono adattati a fare i galli da combattimento.
Ragionare, discutere, dialogare e confrontarsi non può finire così, solo perché i custodi della materia si sono afflosciati o svenduti.
Si tratta di ricominciare: su basi nuove, verso obiettivi raggiungibili. Con pazienza, chiarezza e determinazione: senza arroganza ma anche senza cedimenti.
Si tratta cioè di sostituire il sole inattingibile della sophia con l’obiettivo, ugualmente elevato ma perseguibile della phronesis, della saggezza.
È necessario dunque partire dalla phronesis, la saggezza e dalla sophrosüne, la moderazione, la temperanza, la prudenza.
Questi concetti sono stati studiati e variamente interpretati da molti pensatori, da Cicerone in modo particolare, ma la loro prima definizione si trova in Aristotele.
Si potrebbe anche dire che se Platone è il campione della sophia, la sapienza, Aristotele lo è della phronesis, la saggezza.
È vero che anche per Aristotele il fine ultimo dell’uomo è quello di conquistare la sapienza, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle sue opere ‘morali’, trattano della saggezza.
Veramente e pienamente uomo è chi, tra un difetto e un eccesso, sa scegliere la via mediana che assume in sé i pregi di entrambi lasciandone cadere le negatività.
E così è virtuosa la persona prudente, che sa valutare e scegliere, la persona temperante che riesce a tenere a freno gli istinti, a moderare le spinte pulsionali privilegiando le inclinazioni più positive.
Poi, certo, c’è la beatitudine del sapiente, la gloria di chi riesce a superare sé stesso per attingere alla Verità e al Bene. Ma quello, più che un ideale perseguibile, sembra in Aristotele un al di là irraggiungibile, quella cima che pare sempre la meta prossima e che, invece, si allontana sempre più mano a mano che ci si avvicina.
Bisogna recuperare le ragioni e le spinte che possono permettere all’umanità nel suo complesso (non solo alle élites) di riprendere il suo cammino: che l’aiutino a salvarsi.
La filofronia si basa su alcune semplici considerazioni di base. Intuitive, vorrei quasi dire, tali da poter essere facilmente condivise.
Non parlo di ‘verità’ né di assiomi: non è più tempo. Ci sono rimaste le parole, i referenti si sono volatilizzati: nel migliore dei casi sono stati banalizzati.
Al loro posto si possono proporre delle considerazioni, delle riflessioni che umilmente ma fermamente mostrano tutta la loro evidenza: si possono contraffare o negare ma solo in forza di una palese menzogna o di un auto inganno.
Faccio solo un esempio: se dico che tutti gli esseri umani nascono con pari dignità e con uguali potenzialità evolutive non affermo una verità inconfutabile ma sottolineo qualcosa che nessuno, in buona fede, può negare.
L’esperienza e la vita lo mostrano in tutta la loro solare trasparenza: negarlo equivarrebbe ad affermare che l’acqua è un solido o che il Sole è fatto di ghiaccio.