Ci sono filosofi che hanno esplorato le potenzialità positive dell’uomo e hanno indicato la strada da percorrere: il sentiero stretto e accidentato che permette agli esseri umani di vivere il meglio della loro essenza ( ‘fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza.).
Il più ‘grande’ in questo senso è Kant.
E ci sono pensatori che esplorano le ragioni buie della natura umana, le dimensioni notturne più che quelle solari, gli anfratti dell’essere più che le sue vette.
Si immergono nei bassifondi dell’esistenza e colgono aspetti che sfuggono ai più: riescono ad esprimere ciò che captano in un linguaggio criptico, da iniziati. Quasi incomprensibile.
Tra questi ci sono alcuni filosofi francesi del ‘900 (Foucault, Derrida, Lacan … tanto per fare qualche nome) e primeggia Heidegger.
Filosofi che non ho mai amato e che, forse, ho anche capito poco.
In parte e in qualche modo sto capendo adesso.
Sono i filosofi dell’ultima spiaggia, del sottobosco dell’anima, che capisci quando anche tu hai toccato il fondo e brancoli nel buio.
Sono i filosofi del limite, che scandagliano le zone oscure e impenetrabili della mente e della natura umana e le rendono nell’unico linguaggio possibile, appropriato alle tematiche.
Cioè estremamente criptico e quasi incomprensibile.
Vorrei accennare con poche parole al concetto di ‘radura’ (Lichtung) introdotto da Heidegger.
‘Radura’; luce improvvisa e breve nella selva dell’esistenza (dell’esserci), chiaroscuro che lascia intravedere ma che subito nasconde.
E vuol dire anche ‘diradare’: vedere e non vedere, perché la radura appare dopo il buio della selva e la sua luce può abbagliare e confondere.
Si tratterebbe di concedere spazio e tempo alla sempre sfuggente verità, che si può intravedere ma che subito scompare (aletheia).
Per tradurla in termini esistenziali; non so se sono entrato in questa specie di ‘radura’ o se sto ancora brancolando dentro una ‘selva oscura’.
Questo per il semplice fatto che la radura non offre una visione chiara e persistente e, rispetto all’oscurità della selva, colpisce con una luce che può anche essere ingannevole.
Il mio filosofo di riferimento è sempre stato Kant ma ci sono momenti in cui la sua ‘solarità’, la sua intransigente trasparenza sono difficili da mantenere.
In cui ci si sente a tal punto smarriti nell’oscurità baluginante della vita da riuscire a ritrovarsi solo nei labirintici dedali descritti dai pensatori delle età senza certezze.
Riuscirà il nostro ‘eroe’ ad incontrare il suo ‘Virgilio’ e a trovare il sentiero per superare la ‘selva oscura’?
Hoc est in votis.
Basterebbe riflettere sulle condizioni di vita in cui si agita gran parte dell’umanità: mi potrei addirittura sentire fortunato.
Ma non è facile.
Non sempre le disgrazie degli altri volgono in ottimismo il pessimismo soggettivo.
Le sfortune dei più rimangono all’esterno, al di là, non entrano nella mente dove invece furoreggiano i propri personalissimi mostri.
L’unica cosa veramente saggia da fare è aspettare, cercare di riflettere, ricomporre le situazioni inserendole in contesti più ampi.
Ridimensionare.
E chissà.
Il tempo può aggravare i contesti ma li può anche stemperare e risolvere: almeno in qualche modo.
Cosa che non sanno fare i potenti che guidano le nazioni.
Che alla solarità dell’ovvio, preferiscono il buio della foresta.