MARTA e MARIA

Un anno o poco più è durata la malattia della mia moglie-amica che poi se n’è andata all’inizio di gennaio.

Naturalmente, quando si perde una persona cara, poi restano i pensieri, le riflessioni, le considerazioni su ciò che è stato e su come si è svolto.

E’ da questo ‘dopo’ che nascono i rimpianti e i sensi di colpa, non tanto dall’evento in sé.

Per me è stato un anno di grande impegno e fatica: per tutta una serie di incombenze pratiche che non sto qui ad elencare.

Le mie giornate erano piene di cose da fare, da mattina a sera inoltrata, senza intervalli degni di nota.

Mia moglie era alle prese con il suo malanno, di cui ha conosciuto la natura fin dall’inizio: l’ha affrontato con lucidità e stoica accettazione.

Senza dare fastidio a nessuno: lei non credente, si è aiutata anche con la preghiera.

Qualcuno può giudicare i comportamenti di una persona mentre percorre l’ormai brevissimo intervallo che lo separa dalla morte?

Soprattutto se il suo modo di fare non dà fastidio a nessuno e si concretizza in pratiche innocue di auto conforto.

 

Negli ultimi mesi mi chiedeva spesso di fermarmi accanto a lei: per parlarle un po’ o anche solo per pura, semplice e silenziosa compagnia.

Talvolta lo facevo, la assecondavo ma sempre di fretta, sempre incalzato dall’urgenza delle cose da fare. Che erano tante, impegnative e, certo, ricadevano tutte su di me.

Dopo, adesso, che l’evento si è ormai compiuto, ritorno a quei momenti e, naturalmente, mi pento di essere stato tanto frettoloso, di non averle dedicato più attenzioni, tutto il tempo di cui lei aveva bisogno.

Il fatto è che si dovevano combinare due situazioni completamente diverse: da una parte la consapevolezza di essere ormai in procinto di lasciare tutto e tutti, dall’altra l’urgenza del quotidiano, dell’immediato presente.

Lei mi interpellava già presa dall’afflato dell’eterno, io interagivo con la frenesia dell’ordinario.

Questo ‘conflitto’ mi ha riportato alla mente l’episodio evangelico di Marta e Maria.

Queste erano due sorelle: vedendo passare Gesù, Marta l’ha invitato in casa loro.

Gesù si accomodò e riprese a parlare: Maria si sedette ai suoi piedi mentre Marta continuò a sbrigare le faccende di casa.

Anzi quest’ultima, vedendo la sorella sfaccendata intenta ad ascoltare, si rivolse direttamente a lui pregandolo di spingerla a darle una mano.

Ma Gesù le rispose: ‘Marta, Marta , tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta’.

Ecco, io ho ripetuto Marta. Ho dato più importanza alle faccende domestiche e ho compresso il rapporto con lei.

Lei voleva confermare e rinsaldare il rapporto, aveva bisogno di sentirmi ancora più vicino, avrebbe voluto affrontare insieme a me, per mano, il passo estremo che le si stava aprendo sotto i piedi.

Io ero tutto preso dal presente, da faccende di nessun conto rispetto alla sua condizione esistenziale.

Tanto materiale per i rimpianti, per i rimorsi, per i sensi di colpa.

Tutto questo per dire che a volte trascuriamo ciò che è veramente importante, ciò che è decisivo e profondo nei rapporti umani per fare altro, per occuparci di nugellae, per perderci in mille rivoli inconcludenti.

Io credo che ci succeda spesso, solo che il più delle volte non ci facciamo caso oppure veniamo sommersi dalle ondate del tran tran quotidiano che tutto trasporta, tutto svilisce e seppellisce nei meandri della coscienza.

Qualche volta tuttavia, soprattutto in presenza di eventi capitali, ci succede di ritornare su quanto fatto e detto e allora scopriamo la nostra superficialità, la leggerezza non-kunderiana che trasvola su tutto, tutto annulla senza lasciare traccia.

In questi casi soffriamo e ci rammarichiamo e scontiamo tutta intera la nostra insipienza e l’impotenza.

Non abbiamo altra scelta che di aspettare e lasciare che il tempo faccia il suo corso e il suo mestiere.

( Ma perché non si riesce mai ad averlo prima ‘il senno di poi?’ )