Per più di un anno mi sono dovuto occupare della malattia di una persona a me carissima che, purtroppo, si è conclusa con la morte.
Ancora non mi capacito della perdita, ancora il mio animo è scosso dall’evento e ancora la mia mente fatica a concentrarsi su qualcosa di diverso.
La morte è una vicenda della vita, si sa, è l’accadimento più certo e ineluttabile.
Eppure, nonostante questo, è l’evento che più sconvolge e tramortisce,
O forse proprio per questo.
Se ciò è vero si potrebbe pensare che l’umanità è impegnata con tutte le sue energie a scongiurare la morte, non a impedirla, visto che è impossibile, ma a renderla più ‘naturale’ e meno traumatica possibile.
E invece … è sotto gli occhi di tutti. Dispensare morte sembra lo sport preferito dell’umanità.
Troncare esistenze, non quelle di persone anziane o gravemente malate, ma di giovani, di ragazzi, di persone che della vita non hanno ancora assaporato a pieno il midollo.
Follia della guerra a parte, la morte, pur essendo un evento naturale, resta pur sempre qualcosa di capitale e decisivo, qualcosa che coinvolge tutte le dimensioni della persona, dalla razionalità all’emotività.
Preso fin nell’intimo dalle occorrenze personali, nell’anno appena trascorso non mi sono interessato più di tanto a ciò che mi accadeva intorno: nel mio Paese e fuori. Soltanto adesso comincio ad aprire occhi e orecchi.
Da quanto sento dovrei dire che, in fondo, non mi sono perso niente di importante.
Niente di bello o appassionante in ogni caso, tale da dover essere amaramente rimpianto.
No, mi pare che è tutto come prima: anzi ad essere pignoli e, comunque, realistici, è tutto un po’ peggio, un po’ più degradato, un po’ più avanti nella china scivolosa verso una distruzione più ampia e generalizzata.
Mi pare che più di prima aleggi, nei discorsi dei politici, nei resoconti giornalistici, anche nella chiacchiera di molta gente comune, una gran voglia di menar le mani, di pareggiare i torti – veri o presunti -, di mettere in riga, di fargliela pagare, di imporre ‘diritti’, di pretendere rispetto per non meglio precisati doveri.
‘Cupio dissolvi’ riemerge prepotentemente dalle nebbie della Storia a reclamare le sue vittime sacrificali.
Non capisco perché l’umanità, periodicamente, cada vittima di queste malie.
Sembra quasi un meccanismo biologico di auto regolamentazione.
Che sfama, con milioni di morti, quella che secondo Freud è una irrefrenabile pulsione.
E ritorniamo alla morte, quella di massa, quella che con la quantità soffoca la qualità, quella che mostra, inequivocabilmente, la follia di una specie che si auto definisce razionale.
La morte di massa da evento sconvolgente diventa numero, serie, diventa qualcosa di ordinario e ripetitivo, come le folle dei supermercati.
D’altro canto, la morte della persona amata resta comunque una tragedia ineffabile.
Non si può dire, perché è inconcepibile, inaccettabile, per dirla tutta: a conti fatti risulta insopportabile.
Più che credere nella dimensione ultraterrena, in un altro tipo di esistenza dopo quella terrena, bisognerebbe averne la certezza.
Solo allora svanirebbero i sensi di colpa e il tempo che resta al sopravvissuto si trasformerebbe in una dolce attesa.
Ma così … la morte rimane un salto nel buio che solo la fantasia può e riesce a colmare.
‘Vivere – per – la – morte’, pontifica Heidegger. (Ne tratterò prossimamente).
E’ stato frainteso, dai governanti soprattutto: che spingono quotidianamente i loro sottoposti a ‘vivere la morte’.
Per ideali ‘altissimi’, naturalmente. Gli stessi per i quali loro, i governanti, preservano con cura le proprie esistenze.
A mio modesto parere: bisognerebbe vivere a pieno per la vita accettando la morte quando sopravviene per cause naturali.
Non è facile, lo so ma ci si potrebbe aiutare con l’arte, la musica, la poesia, la filosofia…
La stessa credenza in una esistenza spirituale dopo la morte, in fondo, aiuta a vivere meglio, più serenamente.
Aiuta soprattutto chi resta a non sprofondare nell’abisso della morte.