Qual è il limite di sopportazione dell’umana esistenza?
La vita umana sembra non avere limiti nel senso che ci sono (e ci sono sempre state) persone determinate a vivere al di là di ogni limite.
Di fatto, senza alcun limite.
Forse è una caratteristica della vita in quanto tale, che riguarda cioè tutti i viventi, comunque è certo che è un tratto che ci connota.
Il cinema ha raccontato in maniera inequivocabile questa nostra ‘qualità’.
Ma è soprattutto la Storia che documenta come i nostri simili siano stati disposti a sopportare le più inenarrabili sofferenze pur di rimanere aggrappati alla vita.
Anche nella vita quotidiana si possono condurre esistenze che navigano verso il limite, che gironzolano ossessivamente intorno al limite.
In questo caso, è chiaro, il limite è soggettivo, nel senso che quello che viene percepito da una persona come limite, per un’altra potrebbe essere un traguardo intermedio.
Vivere il proprio limite di sopportazione è comunque sempre pericoloso.
E’ una situazione che può preludere alle scelte più diverse.
Alla prosecuzione di quel tipo di esistenza o anche alla decisione di interromperla bruscamente con qualche atto che poi, dall’esterno, verrà considerato assurdo, incomprensibile e sconsiderato.
In effetti molte delle nefandezze che vengono quotidianamente messe in atto da alcuni dei nostri simili, sono determinate proprio da questo stato: sono commesse da persone che ad un certo punto non ce la fanno più a vivere il loro invalicabile limite e cercano di scaricare il loro peso nell’unica maniera che ritengono praticabile.
Anche uccidendo o annientandosi.
Abbiamo costruito un tipo di società molto poco comunitaria, parecchio individualista.
In sostanza ciò che accade agli individui riguarda loro stessi: principalmente e precipuamente.
La società interviene per quel poco o per quel tanto che è costretta: c’è chi riesce a tirarcela dentro per il collo nelle proprie disgrazie e allora ne ricava un certo sollievo. Altri, meno sfrontati e determinati, medicano come possono le loro ferite.
E’ chiaro che questo disinteresse ‘sociale’ verso le sciagure dei singoli membri produce frustrazione e rabbia che la maggior parte delle persone riesce in qualche modo a gestire, in alcuni soggetti – più deboli, più fragili – determina invece un’esplosione che colpisce o a caso o in modo mirato.
Da qui lo scandalo che induce molti, soprattutto a livello politico, a stracciarsi le vesti.
Un modo come un altro per nascondere le proprie responsabilità.
Chi è costretto a vivere il proprio limite, si sente spesso sbattuto contro due alternative secche: continuare all’infinito la propria auto consunzione o mettere in atto per proprio conto una sorta di inappellabile ordalia.
Per mitigare la prima ed evitare la seconda può essere d’aiuto la religione, la fede: ma se uno la fede non ce l’ha, non se la può proprio dare.
Può aiutare la filosofia: fin che la mente risponde ai comandi.
Avendo tempo si potrebbe praticare la meditazione, lo yoga o perdersi nella poesia e nella musica: ma ci vuole tempo, appunto, e chi si muove da equilibrista sulla lama del limite molto spesso questo tempo non ce l’ha o non riesce a trovarlo.
Che fare?
Tentare di accamparsi sul limite costruendo una specie di capsula dentro cui rifugiarsi mettendo la sordina a tutto.
Al mondo esterno, in primis, ma anche a sé stessi, alle proprie esigenze, alle abitudini e ai desideri.
Abituarsi a vivere come una pupa dentro il bozzolo in attesa di qualcosa che prima o poi accadrà.
Deve accadere.
L’orizzonte degli eventi’ sarà anche inavvicinabile ma ogni singola esistenza ha nel suo dna un orizzonte definito e ultimativo.
Che spegnendo la vita cancella anche ogni limite.