Secondo gli antichi gli dei sono invidiosi della felicità degli uomini e si ingegnano in ogni modo per guastarla.
Non so se esistono gli dei, di cui hanno scritto gli autori classici.
So per certo che non esiste la felicità degli umani.
Possono esistere stati di serenità, di contentezza, ma la felicità in quanto tale credo non ci appartenga. Non si tratta di condividere il modo di vedere di Leopardi ma di essere realisti.
Epicuro (Lucrezio) afferma che gli dei non si interessano delle faccende degli umani: se ne stanno tranquilli e sereni tra mondi e mondi a vivere la loro esistenza beata.
Gli uomini, come tutti gli altri animali, vivono in forza di quelle che sono le leggi che governano il loro particolare stato di esseri animati.
Secondo il cristianesimo (e anche per altre religioni) la divinità è fortemente implicata con la nostra esistenza: interviene e interagisce così da influenzare (se non proprio determinare) le nostre condizioni vitali.
Non avendo alcuna contezza dell’esistenza degli dei, non posso concordare con quanto afferma Epicuro, anche se può sembrare verosimile.
Quanto a ciò che sostiene il cristianesimo nutro seri dubbi: Dio vede e in qualche modo condiziona la vita degli umani. Tollera che soffrano, anche se innocenti, riservandosi poi di premiarli nella vita futura, quella che comincerebbe dopo la morte.
A volte, addirittura, Dio non solo permette ma proprio promuove la sofferenza degli umani, per metterli alla prova, per essere sicuro della loro ‘fedeltà’ e poterli poi premiare o condannare con cognizione di causa.
Questa posizione mi pare paradossale e francamente inaccettabile.
Quella che viviamo è l’unica vita di cui disponiamo, di cui abbiamo sicura certezza: che senso ha viverla nel dolore e nella sofferenza per meritarsene un’altra ultra terrena, sull’esistenza della quale non mi giocherei un centesimo?
Tanto più, poi, che la stessa futura felicità toccherebbe anche a molte persone che hanno condotto una vita tutto sommato tranquilla e serena, senza particolari sofferenze. E anche a chi ha goduto nella vita terrena della massima ‘felicità’ possibile.
Insomma, sia come sia, credo che gli dei c’entrino poco con la nostra esistenza.
Non credo esistano gli dei dell’antichità, quelli che Dante qualificava come ‘falsi e bugiardi’.
E se esistono e se ne stanno per conto loro, come pensavano Epicuro e Lucrezio, è come se non esistessero.
Quanto alle divinità della nostra era (il Dio degli Ebrei, quello dei musulmani o il Dio dei cristiani) non so che dire: nel senso che non ho nessuna evidenza. E non mi pare ci sia qualcuno che ce l’abbia.
Ma un Dio onnipotente che permette o addirittura provoca la sofferenza per mettere alla prova, in una sorta di mercanteggiamento volto a definire il ‘tipo’ di vita eterna da attribuire, si pone comunque al di fuori e al di là della mia comprensione. Mi sembrerebbe una divinità crudele e insensibile, come il Dio degli Aztechi.
Io penso che la sofferenza e il dolore facciano parte del mondo della vita, che, certo, contempla anche serenità e tranquillità ma che, allo stesso modo, non può prescindere dal disagio e dal tormento.
Si tratta di farsene una ragione: anche se è difficile e triste.
Quanto alla divinità, qualunque essa sia, mi viene da dire: se ci sei batti un colpo.
Se non lo fai lo faccio io: nel senso che vivo come meglio posso la mia natura in solidarietà con i miei simili, cercando di contrastare la malvagità che pure ci connota.
Quanto al ‘dopo’, non è in mio potere: né in quello di nessun altro.
Se non c’è, come io ritengo, non ho disonorato la ‘categoria’.
Se c’è: sono pronto.