LA SOCIETÀ ‘MERCANTILE’ (17-01-2023)

Naturalmente ci sono definizioni canoniche e riferimenti storici imprescindibili.

È chiaro che la nostra non è più la ‘società mercantile’ classica, essendo noi transitati prima nella società industriale, successivamente nell’era del terziario.

Anche se non saprei dire con esattezza in che cosa ci troviamo adesso.

Catalogazioni a parte per società mercantile io intendo quella aggregazione sociale che mette l’individuo e le sue proprietà al centro di tutto.

Si vale solo se e in quanto si possiede. E, naturalmente, quanto più si possiede, tanto più si vale.

Se posso pagare ottengo tutto, o quasi, diversamente posso pure morire di fame, di freddo o di malattie che non interessa a nessuno.

Ecco il significato del termine mercantile: se hai da comprare, merci o servizi, la sfanghi, diversamente vai a fondo.

Mi si dirà che ci sono dei lodevolissimi esempi che vanno in un’altra direzione, che negano questa mentalità affidandosi ad una prassi totalmente diversa.

Lo so e conosco alcune di queste organizzazioni: ma sono eccezioni che certo non fanno fronte a tutti i bisogni dell’umanità. E come potrebbero?

Non voglio dire che sono eccezioni che confermano l’andazzo generale: restano in ogni caso delle perle rare che non riescono a trasformare la ‘forma mentis’ e il ‘modus operandi’ della società nel suo complesso.

Si potrebbe dire che la struttura delle società contemporanee (almeno quelle del mondo occidentale) prende forma a partire dal Basso Medio Evo quando nelle nascenti città si impone un ceto mercantile intraprendente e spregiudicato che pone il conseguimento di un sempre maggiore profitto come unico scopo della propria esistenza. 

Da quel modello e attraverso vari rimaneggiamenti si è passati alle grandi imprese industriali tipiche del mondo angloamericano. Fino agli ‘anonimi’ potentati finanziari che gestiscono le sorti dei popoli nel nostro tempo.

Non è certo, questo mio, un excursus storico – sociologico ma solo un modo per mettere in chiaro un’idea sulla quale sto insistendo da diverso tempo: riguarda il senso profondo dello stare al mondo, l’essenza vera della vita e della natura umana.

Tutti gli esseri viventi nascono per sopravvivere e per vivere il più felicemente possibile.

Sconfiggere il dolore, avere di che alimentarsi e conseguire l’appagamento generale del proprio essere.

Anche gli animali più feroci, soddisfatte queste condizioni, se ne stanno distesi beati e innocui.

Solo l’essere umano sembra non accontentarsi di quello stato ma è sempre alla ricerca di un di più, di una super eccedenza che finisce per rendere ‘problematica’ la vita di tutti.

Si vuole per sé, soltanto per sé stessi, non solo quanto basta per essere soddisfatti ma quanto basterebbe per rendere felici migliaia e a volte addirittura milioni di propri simili.

L’uomo, unico tra tutti gli esseri viventi, è come posseduto da questa inestinguibile brama: di ammucchiare, di possedere, di mettere nei propri forzieri tutto ciò che si può accumulare.

Così facendo deve sottrarre ad altri suoi simili non solo un modesto surplus ma addirittura il necessario per sopravvivere.

Cosa che, ovviamente, scatena resistenze, contrapposizioni e veri e propri conflitti.

Come esseri umani avremmo anche un briciolo di razionalità per capire l’assurdità di certi comportamenti ma, evidentemente, gli appetiti sono troppo più forti e si impongono facilmente.

Per tornare al titolo: nonostante le analisi e le definizioni di storici e sociologi bisogna riconoscere che, come umanità, non ci siamo allontanati dagli schemi e dalle linee guida della società mercantile.

Anche se, soprattutto negli ultimi decenni, sono emerse delle preoccupanti emergenze che dovrebbero almeno far riflettere.

Dovrebbero spingerci a privilegiare finalmente la razionalità: per tenere a freno gli appetiti.

Per capire che quello che conta veramente è il benessere per il maggior numero di persone.

Realizzare questo obiettivo è sì un atteggiamento altruistico ma è anche la più alta espressione dell’egoismo individuale.

Infatti, senza il benessere degli altri non c’è vero benessere per nessuno.