Quando vediamo dei film ambientati negli anni 50 del ‘900 o nei primi 60, ci meravigliamo della qualità dei rapporti umani e dell’autenticità dei sentimenti che vengono mostrati.
Quasi ce ne vergogniamo e stentiamo a riconoscerci: spesso ci giriamo da un’altra parte.
I buoni sentimenti sono diventati oggetto di scherno o, nei casi migliori, motivo di disagio.
Ci attira la volgarità, la freddezza o la durezza.
Come testimonia il cinema che va oggi per la maggiore, i film che primeggiano al botteghino.
Probabilmente c’è qualcosa nel DNA della nostra specie che spinge in quella direzione.
Se scorriamo un nostro manuale di storia vediamo che la maggior parte delle pagine è dedicata alle guerre e alle stragi.
E quali sono i personaggi sui quali si è maggiormente concentrata l’attenzione degli studiosi con conseguente produzione di biografie e dettagliate descrizioni?
Quelli che hanno scatenato le guerre e hanno mandato al massacro migliaia di loro simili.
Si dirà che sono i lettori che vogliono certe storie, che prediligono e richiedono determinate descrizioni.
Appunto!
Pare quasi ci sia una certa connivenza tra chi agisce e compie certe azioni, chi le analizza e le espone e chi poi ne legge i resoconti e le descrizioni.
Un aspetto che ha a che fare con certe propensioni che ci caratterizzano: non voglio parlare di natura umana ma, evidentemente, c’è qualcosa che ci porta da quella parte.
D’altra parte, a dar retta alla Bibbia, la storia umana è cominciata con l’assassinio di Abele da parte del fratello Caino ed è poi proseguita con l’inganno perpetrato da Giacobbe ai danni del fratello Esaù e con i figli di Giacobbe che, per invidia, vendono il loro fratello Giuseppe a dei mercanti.
Non proprio un rosario di fatti edificanti e di buoni sentimenti.
Proseguendo con la lettura si scoprirà poi che tutto il Vecchio Testamento è punteggiato da guerre e massacri, subiti e perpetrati dagli Ebrei: molto spesso con il favore e l’aiuto attivo di Dio.
Non parliamo dunque di ‘natura umana’ ma a ben guardare tutta la nostra storia ci racconta di una specie incline più al conflitto e all’uccisione che alla collaborazione e alla salvaguardia.
Consideriamo, per esempio, il Natale: che cos’era fino agli anni ‘60 del secolo scorso?
Era la festa della famiglia, il trionfo dei buoni sentimenti, l’occasione per mostrarci l’un l’altro il meglio di noi stessi.
Cos’è diventato?
La festa del consumismo, il trionfo dei regali, la circostanza che ci permette di saggiare e di mostrare il nostro potenziale economico.
I buoni sentimenti di un tempo?
Ignorati, per lo più, nel migliore di casi relegati e gelosamente rinchiusi tra le pareti domestiche: quasi sempre circoscritti ai bambini (molto piccoli) e agli anziani (molto in là con l’età).
Mi pare di notare che questo Papa, più dei predecessori, si sforza di stimolare e di rivitalizzare i sentimenti positivi che pure albergano nell’animo dei suoi simili: a me sembra che i risultati siano piuttosto scarsi.
Anche lui fatica a fare breccia nella mente di persone indurite da una sequela interminabile di eventi atroci, arate e diserbate dalle invadenti campagne consumistiche.
Eppure, nonostante tutto il mio pessimismo, sono convinto che nell’animo degli esseri umani c’è comunque una scintilla di bontà: sommersa e schiacciata da montagne di ciarpame negativo ma pur sempre viva e pronta a riaccendersi.
La sopravvivenza della specie è legata anche a questa alternativa: prevarranno le forze negative, la volontà di potenza e di sopraffazione o, alla fine, la fiammella positiva riuscirà a provocare l’incendio purificatore e salvifico?
Solo il futuro potrà dirlo.