‘Todo cambia’, canta Mercedes Sosa.
‘Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi’, afferma Tancredi, nipote del principe di Salina, nel celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa.
Tradotta in termini relativamente leggeri sembra l’antica diatriba tra Parmenide ed Eraclito, tra il filosofo dell’immobilità eterna dell’essere e l’apostolo del mutamento, del divenire.
La contrapposizione, in relazione al nostro tempo, può essere letta nei seguenti termini.
C’è stato un tempo in cui la diversità tra le forze politiche era accentuata per cui, passando da uno schieramento all’altro, si poteva notare una gran differenza di vedute e di proposte.
Todo cambia, appunto.
Poi è successo, e siamo all’oggi, che le misure adottate dai vari governi – siano essi di sinistra, di centro o di destra – sono sempre le stesse. Cambiano i nomi, le etichette ma la sostanza cambia poco, spesso proprio per niente.
Cambia tutta l’esteriorità ma, in profondità, nulla cambia davvero. Non so se questo risultato è perseguito di proposito, come viene adombrato nel Gattopardo, ma è quel che succede.
E’ un fatto che, nel dopoguerra e fino agli anni ‘70, le differenze tra le forze politiche e le aggregazioni sociali erano più nette. Le politiche che venivano proposte e sostenute dalla destra o dalla sinistra erano sensibilmente diverse. Era facile riconoscersi di uno schieramento o dell’altro. Così come era relativamente semplice vivere la propria identità, che nasceva dalla diversità e dal confronto.
Le cose sono iniziate a cambiare verso la metà degli anni 80, con il craxismo. Non voglio certo discutere qui meriti e torti di quella esperienza ma solo notare che, a partire dalla fine degli anni 80, qualcosa è cambiato radicalmente nella politica italiana.
Fino ai nostri giorni in cui sono rimaste solo una flebile diversità di accenti e una grande differenza nelle parole, prodotte in quantità industriale e sempre sovrapposte e urlate. A marcare una discordanza sostanziale ormai inesistente.
Succede che una coalizione arriva al potere contestando duramente i provvedimenti di quella che l’ha preceduta.
Una volta entrata nella stanza dei bottoni adotta le stesse misure del governo che ha appena scalzato.
È meglio?
È peggio?
Ognuno valuti.
Mi limito a registrare il dato.
E intanto il CENSIS nel suo rapporto annuale, parla di una popolazione, quella italiana, post-populista, insicura, vulnerabile, timida e quasi paurosa.
Una società che non ha più certezze, che, sotto i colpi delle diverse crisi succedutesi negli ultimi tempi, arranca a fatica verso un futuro che non sa definire.
Tutti capiscono quali sono le cose che non vanno, individuano le storture ma non c’è nessuno che sappia indicare un rimedio sicuro ed efficace.
Incertezza quindi e grande apprensione circa il futuro.
Anche qui – mi permettano i dottoroni del CENSIS – mi pare di capire che è un bel po’ di tempo che l’Istituto sottolinea certi aspetti, mette in risalto dati e circostanze inoppugnabili: ad ogni tornata con una terminologia diversa, con accenti riservati più ad un fenomeno che ad un altro.
Ma, andando al nocciolo della questione, sono anni che, illustri esperti, scrivete le stesse cose: parole diverse, certo, ma sostanza pressoché identica.
Tutto cambia, in superficie.
Ma in fondo in fondo niente cambia mai davvero.
Eraclito o Parmenide (o Severino): a chi la palma?
O dobbiamo ammettere che il principe di Lampedusa aveva capito tutto?