URLO, URLA, URLI, URLIO (01-11-2022)

Munch dipinse ‘Urlo’ tra la fine dell’800 e i primi del ‘900: in realtà non si tratta di un unico dipinto ma di diverse copie dello stesso soggetto.

A parte le rivolte contadine della Russia, per il resto quello pareva un periodo abbastanza tranquillo, non molto diverso dai decenni immediatamente precedenti.

Nell’Europa continentale sembrava ormai confermata l’egemonia tedesca: economica e militare, almeno.

In Asia e in Africa spadroneggiava l’Inghilterra, determinata a realizzare e a imporre il suo impero con ogni mezzo.

Gli USA erano concentrati nell’irrobustimento della propria economia che li avrebbe portati, poi, a giocare un ruolo di prim’ordine nel secolo appena cominciato.

L’Urlo di Munch deve essere sembrato ai contemporanei qualcosa di stonato, di fuori luogo e tempo, qualcosa che avrebbe avuto un senso un secolo prima, all’inizio dell’800, nel vivo delle campagne napoleoniche.

Non certo all’inizio del ‘900 che aveva tutte le carte in regola per essere definito il secolo dell’economia.

Il suo significato autentico, premonitore, si è disvelato dopo, oltrepassata la metà del ‘900, dopo le due devastanti guerre mondiali, dopo le pandemie e i disastri economici, dopo che era accaduto tutto ciò che di peggio l’umanità avrebbe potuto mostrare.

Dopo un centinaio di milioni di morti ammucchiati uno sull’altro in nemmeno 40 anni di storia.

Dopo che gli uomini avevano fatto impallidire i massacri dei regni antichi e quelli dell’epoca di mezzo.

L’Urlo di Munch, afono e proprio per questo più squassante e terrorizzante, lanciato da quella figura stilizzata raccapricciante e deforme, costituiva in tutta evidenza un allarme: inascoltato come gli alert di Cassandra, prezioso testimone per le generazioni successive.

Di fatto l’Urlo di Munch chiude l’Ottocento e apre il Novecento.

A differenza dell’Urlo ‘muto’ di Munch, ‘Howl’ di Ginsberg è un Urlo ‘gridato’.

Il poeta beat americano l’ha presentato al pubblico a metà degli anni ‘50 del ‘900, a San Francisco, nella Six Gallery, nel corso di un raduno di poeti ed amici che stavano vivendo male quel momento storico fatto di benessere economico e di chiusure ideologiche.

Sentivano di vivere in un mondo che li escludeva, da cui non riuscivano ad attingere ispirazione, in cui non ce la facevano a vivere se non alterando in modo artificiale le loro sensazioni.

Mentre Urlo di Munch veicola messaggi subliminali di carattere generale, metafisico vorrei quasi dire, Howl parla di esperienze particolari, fa riferimento a psicologie individuali, ‘urla’ storie di ordinario disagio spinto a volte fino alla depravazione, all’annientamento dell’individualità.

Howl esprime insofferenza e insoddisfazione per un benessere solo materiale che ha paura della creatività, che crea omologazione e coarta la soggettività.

Di solito alle urla premonitrici lanciate da artisti e pensatori, il potere risponde con urli belluini, con manifestazioni di esseri umani che hanno perso la ragione.

Scendono in campo le maschere di Ensor o i minacciosi militari di Grosz.

Il nostro non è più tempo di urla, non risuonano nemmeno gli urli.

Il nostro presente è dominato da un urlio continuo e indistinto, in cui non è possibile riconoscere le voci, non si riesce nemmeno a individuarne la provenienza.

Gli allarmi di chi grida al pericolo si mescolano e confondono con il rumoroso chiacchierio del potere: i primi vorrebbe terrorizzare, il secondo invoca realismo.

Il risultato è un assordante rumore di fondo che inceppa i ragionamenti e mette fuori causa la facoltà del giudizio.

Un Urlo alla Munch, oggi, sarebbe tutt’al più gratificato di qualche sguardo di compassione.

Howl verrebbe ‘spento’ come rumore molesto.

L’urlio livella tutto, svilisce tutto, depotenzia tutto: anche gli avvertimenti più inquietanti.

Si va tutti insieme: verso che cosa?

Nessuno sa dirlo, nessuno può dirlo, nessuno osa dirlo.

Lo racconteranno i posteri.

Le cose sono sempre andate in questo modo.

Ci credevamo più intelligenti delle generazioni che ci hanno preceduto, più esperti anche, viste le tante esperienze accumulate.

Ma non è così.

Com’è possibile che, mutatis mutandis, siamo sempre allo stesso punto?