Meglio non pensarci.
Da bambino non vedi l’ora di diventare grande, di proiettarti nel futuro.
Da giovane guardi al futuro come a una preda, che puoi agguantare, che devi conquistare.
La persona matura, professionalmente a posto, vive il futuro come un mare calmo, in cui navigare senza scossoni.
Il vecchio non pensa al futuro, lo teme e basta, sa che è là che aspetta, sa di che cosa si tratta, per questo è renitente, non guarda, vorrebbe scappare, tornare indietro.
Ci cadrà dentro come il ‘vecchierel bianco ed infermo’.
E ci sono poi persone (forse, addirittura, la maggior parte degli esseri umani viventi) che vivono tutta la vita senza un futuro, pronte a giocarsi in ogni istante il loro presente alla roulette, per quello che vale, senza prodromi né strascichi.
Perché, in realtà, il futuro è un lusso dei pochi che se lo possono permettere.
Un lusso per modo di dire, perché, a ben vedere, spesso più che un lusso è una maledizione.
Una spina nel fianco, un tormento, un rovello che non dà pace, che punge e scortica la mente fino a portarla, a volte, sull’orlo della follia.
Più che al futuro, sarebbe meglio pensare al passato: è quello che è, immodificabile e certo; per quanto burrascoso non spaventa, non può spaventare perché è concluso, sigillato, quindi innocuo.
Il presente non è fatto per essere pensato ma per agire: infatti, nel presente, anche il pensiero è azione.
L’azione del pensare, nel presente, riguarda il passato o il futuro.
Pensiamo al passato e al futuro perché tentiamo di capirli, di interpretarli: li vogliamo impacchettare perché non facciano danni.
Mentre questa operazione spesso con il passato funziona, con il futuro non riesce quasi mai.
Il passato è impastato di eventi che stanno alle nostre spalle, in qualche modo li possiamo sviscerare e capire: non è certo sempre agevole, alcuni elementi sfuggono, altri si prestano a letture controverse ma con un po’ di buona volontà e, soprattutto, con molta sincerità riusciamo a venirne a capo.
Il futuro non è fatto di eventi ma di supposizioni, non è costituito da certezze ma da probabilità: soprattutto, finché non diventa presente e non trapassa subito nel passato, conserva fino alla fine una vasta zona d’ombra, scorre nella nostra mente avvolto nelle nebbie, sfugge a qualsiasi operazione matematica, non obbedisce alla fisica classica ma è governato da quella quantistica per cui si presenta in un certo modo ma, contemporaneamente, in realtà è anche in un altro.
Per questo va preso a piccole dosi, bevuto a piccoli sorsi.
Bisogna lasciarlo decantare, aspettare che si stabilizzi e piano piano trascorra nel passato: attraverso il presente.
Solo così potrà essere maneggiato, capito e interpretato: ma, a quel punto, non sarà più futuro. Sarà diventato passato.
L’ideale sarebbe vivere bene il presente, facendo pace con il proprio passato, senza farsi travolgere dal futuro: dall’immagine che ci costruiamo del nostro futuro.
Sarebbe la felicità.
O almeno la serenità.
A quanti è dato?