DROPSHIPPING (23-10-2022)

Comprare oggetti usati e rivenderli ad un prezzo maggiorato.

In realtà non si tratta esattamente di questo: più realisticamente il dropshipper è un ‘venditore’ che si interpone tra il cliente e chi detiene le merci in magazzino. Egli pubblicizza i prodotti, raccoglie gli ordinativi, li smista al magazzino che, ricevuto quanto richiesto, li invia al richiedente: per questa sua attività si ritaglia una percentuale variabile.

In sostanza, dunque, è un intermediario (un parassita?) non così indispensabile, che contribuisce ad innalzare i costi finali delle merci.

C’è un ragazzo da qualche parte nel nostro Paese che fattura in questo modo sui 100 mila euro al mese.

Ha diversi collaboratori e un’Accademia con più di 700 iscritti in tutta Italia in cui spiega le tecniche e le modalità dell’attività.

Sono questi i nuovi lavori che producono ricchezza?

Con queste attività vogliamo risollevare l’economia italiana?

È tutto legale, certo, ci mancherebbe!

D’altra parte ci sono un’infinità di ‘traffici finanziari’ che sono perfettamente legali ma che di fatto si configurano come delle vere e proprie ruberie.

Maxi ruberie.

Qualcosa del genere deve essere insito anche nelle cosiddette monete virtuali, tipo Bitcoin, tanto per non fare nomi.

Forse la mia concezione dell’economia è rimasta all’antico, è di tipo ‘ruspante’, si basa su principi etici che con l’economia reale non hanno niente a che vedere, forse l’economia reale si è sempre basata sullo sfruttamento (*) e sull’imbroglio: sta di fatto che la mia visione della vita e dell’essere umano mi impedisce di accettare come normali certe storture.

(Si è sempre discettato sull’esercizio machiavellico del potere, esistono studi sul machiavellismo in economia?)

Tornando al punto iniziale, al dropshipping, si tratta, dunque, di ‘intermediare’ sull’acquisto delle merci: io, che non ho né merci né magazzini, propongo in vendita degli oggetti ad un prezzo superiore (a volte anche del 200%) rispetto a quello che effettivamente hanno. Concludo l’affare al prezzo da me stabilito, do a chi ha la merce il prezzo (inferiore) da lui richiesto e lo spingo nello stesso tempo a spedire il manufatto al cliente che me l’ha richiesto e ‘profumatamente’ pagato.

È chiaro che bisogna possedere fiuto, avere delle abilità, conoscere delle tecniche: ecco giustificata l’Accademia che valorizza le ‘doti’ naturali e insegna il resto.

In tutto questo traffico io non produco niente né, fisicamente, possiedo qualcosa: attraggo compratori e lucro sulla mia attività di interposizione.

Se questi sono i nuovi ‘mestieri’, se queste sono le avveniristiche attività cui si dedica la nostra ‘meglio gioventù’, non vedo un grande futuro.

A mio modesto parere sono ‘fuochi fatui’ che corrispondono, in certi momenti, all’arricchimento di alcune persone particolarmente astute: destinati a spegnersi lasciando dietro a sé macerie più o meno ingombranti.

Tutto è ormai possibile, in questo nostro mondo, dove il ‘redde rationem’ molto spesso non tocca agli interessati.

 

(*)

A proposito di sfruttamento leggo della cinese Schein che con i suoi prodotti sta conquistando nel mondo fette di mercato sempre più ampie. Grazie, in particolare, più che alla qualità dei suoi articoli, al loro prezzo concorrenziale. Che è ottenuto facendo lavorare i suoi addetti fino a 18 ore al giorno dando loro in cambio un salario bassissimo. Qui, a differenza di quanto descritto più sopra, siamo in presenza di chi possiede prodotti e magazzini e vende direttamente i suoi manufatti e ciononostante pratica un’economia malata e inaccettabile.

Forse la pratica economica è sempre vissuta di queste ‘ingiustizie’ e io non voglio fare l’anima bella che cade dalle nuvole: rilevo soltanto che negli ultimi due secoli è nata una consapevolezza diversa della dignità umana, si è diffusa una conoscenza più approfondita dei meccanismi economici, si è affermata in molte coscienze una decisa volontà di mettere fine almeno alle forme di abuso più sfacciato.

Per cui sia gli imbrogli del ‘digitale’ e del ‘virtuale’ che lo sfruttamento più ‘tradizionale’ sono ormai sentiti come inaccettabili.