Quello che non sai, nella vita, è quello che imparerai dopo.
Quando magari è troppo tardi.
O è diventato inutile apprenderlo.
A dire il vero le generazioni più ‘anziane’ lo sanno già, quello che succederà dopo ma in parte non lo sanno comunicare, in altra parte le nuove generazioni non lo sanno apprendere.
Non lo vogliono apprendere.
Salvo, appunto, sperimentarlo dopo.
Per il proprio profitto. O a proprie spese.
Ci crediamo tanto bravi nell’apprendimento, addirittura superiori a tutti gli altri animali e invece, sotto questo profilo, siamo inferiori a molti.
Prendiamo gli elefanti: vivono in branchi guidati dalle matriarche che assommano in sé tutte le conoscenze delle generazioni passate.
Come mai, alla loro morte, subentra subito un altro membro del gruppo che agisce come le sagge matriarche precedenti?
Perché, quando erano guidate, imparavano, apprendevano, immagazzinavano conoscenze, diventando così pronte a ‘spenderle’ alla prima occasione.
Qualcosa di simile si potrebbe dire anche dei branchi di lupi o delle famiglie allargate delle orche.
Ci sono animali che, per natura, non possono avvalersi delle conoscenze di un branco: perché crescono isolati e vivono ognuno per proprio conto.
È il caso dei leopardi, per esempio, ma anche dei gatti domestici.
In compenso questi animali hanno una capacità di apprendimento velocissima, che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare.
Tutto della loro vita, fin da quando cominciano ad aprire gli occhi, costituisce apprendimento, tutto viene memorizzato molto in fretta, riutilizzato e messo alla prova in esperienze significative.
Noi vantiamo come un pregio il nostro lento incedere nell’apprendimento: lo consideriamo una garanzia di successo nella preparazione alla vita.
I manuali di psicologia dedicano capitoli interi alla neotenia, quasi fosse l’arma segreta che ci distingue e ci rende superiori a tutti gli altri animali.
E invece, pur vivendo in società, non facciamo tesoro delle esperienze ‘sperimentate’ dai nostri simili; viviamo in comunità con la stessa predisposizione dei leopardi o dei gatti, senza tuttavia possedere le loro abilità.
In realtà la gradualità dell’apprendimento nell’essere umano si qualifica in molti casi come pura e semplice lentezza, senza alcun significativo vantaggio.
Questa sostanziale vacuità, sembra un portato della modernità, del progresso.
Nelle comunità dei nativi americani, i cosiddetti indiani, gli anziani ricoprivano un ruolo importante per la vita della tribù: i loro consigli erano tenuti in grande considerazione e tutti sentivano che il destino del gruppo dipendeva dalla loro saggezza.
Qualcosa di simile accade nelle aggregazioni amazzoniche o nei gruppi umani che ancora vivono ‘sepolti’ nella foresta equatoriale africana.
Noi ci siamo evoluti: abbiamo creato interminabili percorsi educativi che, spesso, non sembrano lasciare traccia nell’animo delle giovani generazioni.
Di fatto, più o meno consapevolmente, abbiamo appaltato il compito formativo prima alla televisione, poi ai computer e a Internet, ultimamente ai cellulari.
I risultati? Sono sotto gli occhi di tutti. Sono quelli che con molto acume aveva anticipato Karl Raimund Popper.
A proposito dell’invenzione della televisione, nel 1994 ebbe a dire: ‘una di queste grandi invenzioni è stata la televisione che è davvero diventata un grande orrore, anche se avrebbe potuto essere una benedizione’.
Il problema, allora, non sta tanto in ciò che noi non sappiamo (in questo senso il titolo di questa riflessione è fuorviante) ma in ciò che è stato sperimentato più volte dalle generazioni che ci hanno preceduto ma che noi non assimiliamo.
Di cui non riusciamo a far tesoro.
(Prendiamo la guerra, per esempio: sappiamo perché scoppia, conosciamo le distruzioni e i massacri, gli orrori e le sofferenze. Conosciamo tutto, delle guerre. Proprio tutto. Eppure continuiamo farle.)
Per essere onesti dobbiamo riconoscere che questa tragica incoscienza non è una caratteristica solo nostra, delle ultime generazioni intendo dire, ma sembra essere proprio una ‘qualità’ dell’essere umano in quanto tale. Almeno di tutti gli esseri umani che sono esistiti finora.
Il che se da un lato ci solleva un po’ dalla colpa, dall’altro risulta ancora più preoccupante.
Si può cambiare?
Si potrà mai essere diversi?
Magari finalmente ‘migliori’?
Non so.
È un auspicio.
Speriamo diventi qualcosa di più.