È chiaro che quando si parla di ‘felicità’ il discorso diventa strettamente personale.
Può essere condiviso da qualcuno, capito da altri ma è inevitabile che rimanga incomprensibile per molti.
E bisogna anche precisare che, in realtà, la felicità in quanto tale non è di questo mondo.
Possiamo vivere dei momenti di gioia, di contentezza, di pienezza: possiamo addirittura prolungare quei momenti facendoli diventare dei periodi di serenità e di appagamento.
Ma la felicità, quella vera, piena, totale rimane sempre al di là: l’obiettivo che le religioni, profonde conoscitrici della psicologia umana, hanno posto in un’ipotetica vita ultraterrena.
Precisato questo posso dire di aver avuto un’infanzia serena: povera di cose materiali, ricca di affetti e tante piccole soddisfazioni.
La giovinezza è stata un periodo di entusiasmi, di conquiste, di speranze, di lotte e anche di qualche sconfitta: nel complesso riconosco di aver vissuto quegli anni con passione e, tutto sommato, con appagante soddisfazione.
Poi la stabilità: il lavoro, la famiglia, la professione, i figli … Tutto interessante, con molte gioie e anche non poche spine.
Prima di parlare dell’oggi devo fare un’altra precisazione: la felicità delle persone (piena o relativa che sia) dipende molto anche dalle condizioni esteriori, dalla società in cui vivono, dagli eventi che si susseguono, dal clima generale che si crea in un certo momento storico.
Questo in generale perché, poi, non bisogna nemmeno trascurare l’influenza che può avere sul nostro ‘sentire’, la piccola comunità famigliare nella quale siamo inseriti ed, eventualmente, il suo prolungamento nell’ambiente immediatamente circostante.
Personalmente vivo l’attuale momento storico come qualcosa di pesante, di oscuro, di indecifrabile soprattutto.
Non ho più la beata incoscienza della fanciullezza, né l’entusiasmo speranzoso della giovinezza e probabilmente mi faccio eccessivamente influenzare dall’ambiente esterno.
Il fatto è che non riesco a vivere questi nostri avventurati giorni con serenità, con leggerezza, con fiducia.
È come se vivessi in una casa insidiata dal terremoto o in una vallata minacciata da un vulcano.
La pandemia e le guerre non condizionano solo il nostro vivere materiale ma scuotono le certezze e costringono la mente a fare continui aggiustamenti per mantenere la rotta.
È un fatto che la tranquillità e il sereno equilibrio interiore non dipendono solo da noi ma sono strettamente condizionati dalla situazione generale nella quale siamo immersi.
Penso che il limite più evidente delle filosofie ellenistiche (epicureismo, stoicismo, scetticismo …) stia proprio in questa considerazione: si sono concentrate sulla felicità dell’individuo, suggerendo percorsi e strategie, ma non hanno tenuto nel debito conto le influenze del mondo esterno.
Suggerire di isolarsi, di prescindere, di concentrarsi solo su se stessi o, al più, sulle persone più intime, non risolve i problemi esistenziali. Li lascia intatti e tutti da sbrogliare.
La ‘felicità’ non è fatta di cose, non è fatta di conquiste ‘materiali’, non è fatta nemmeno di progresso: è una condizione interiore che dipende da innumerevoli fattori, non ultimi quelli relativi alla comunità nella quale siamo inseriti e, più in generale, alla società alla quale apparteniamo.
La guerra alle porte di casa, per esempio, che pensavamo relegata al passato o, al più, confinata in Paesi remoti lontani dalle nostre contrade, ci tocca da vicino, ci coinvolge nostro malgrado, non solo ci interroga ma ci costringe a schierarci, ci spinge a mettere in atto tutto ciò che possiamo fare per farla finire.
La felicità non è un dato di fatto ma un ‘obiettivo limite’ verso il quale tutti gli uomini dovrebbero incamminarsi: nella consapevolezza che la sua acquisizione non sarà mai piena e definitiva, fiduciosi, nello stesso tempo, di potercisi avvicinare sempre più.
L’umanità, volenti o no, è, di fatto, una grande comunità: lo è diventata soprattutto negli ultimi decenni, grazie alla diffusione capillare dei media, dei social e dei mezzi di trasporto.
Il che vuol dire che nessuna aggregazione può immaginare di vivere una propria particolarissima felicità, indipendentemente dagli altri, peggio ancora contro gli altri.
Lo può fare per un certo periodo, rischiando però di pagarne poi un prezzo piuttosto salato.
Nessuno può essere felice da solo, tutti possono arrivare ad un accettabile benessere di base.
Questa è la sfida che ha davanti l’umanità.
Questa è anche la condizione vera per la sua sopravvivenza.