È un momento un po’ così, di tragica normalità.
A livello internazionale è in corso una guerra terribile e pericolosissima, poco al di là dei confini: si è impantanata al punto che sembra diventata normale.
In realtà si tratta pur sempre di una situazione velenosa che da un momento all’altro potrebbe evolvere in un esito disastroso e che, in ogni caso, lascerà dietro a sé delle ferite sanguinolente difficilmente guaribili.
Eppure ci siamo quasi abituati. Nessuno, in nessun Paese, è sceso in piazza a chiedere la fine immediata dei combattimenti.
Ciò che un tempo sembrava terribile e insopportabile, è diventato normale, quotidiano.
Qui da noi le cose non vanno certo a meraviglia: siamo sopraffatti da rifiuti e cinghiali, la siccità minaccia i raccolti, già in Sardegna sono arrivate le cavallette, il terremoto tiene in ansia Firenze, gli sbarchi continuano a ritmo serrato anche se nessuno ne parla più, le fabbriche chiudono e i giovani, come impiego, hanno solo lo sballo.
Potrei continuare all’infinito ma mi fermo.
Come metafora mi viene in mente ‘la danza’ di Matisse: ci muoviamo tutti insieme in cerchio attorno alla bocca di un vulcano. Non guardiamo il cielo né da nessun altra parte ma solo il filo di fumo che esce dal cratere. Siamo come ammaliati, intontiti, ipnotizzati e bloccati.
I nostri capi?
Un po’ parlano del nulla, un po’ inseguono ognuno il proprio personale tornaconto e, soprattutto, non sanno cosa fare di preciso.
Chiacchiere: a non finire.
Opere: ancora niente.
Non voglio buttare la croce dell’impotenza e dell’incapacità solo sulle spalle dei nostri politici perché mi pare che sia così un po’ dappertutto.
Il che, contrariamente al detto, non è certo consolante.
Pure il papa non mi sembra ben messo: mi pare che ne abbia abbastanza un po’ di tutto e adesso nemmeno il fisico lo sostiene più. Mi sembra in trepida attesa di farsi da parte ma finché non se ne va l’altro emerito non può certo permetterselo. Due papi emeriti e uno solo normale è una situazione che nemmeno la chiesa cattolica può permettersi. Soprattutto in questo periodo in cui tira una forte aria di nuove chiese.
Intanto la morte è diventata un evento ordinario, quella degli altri, s’intende. Non che non lo sia, ma mi pare che sta cambiando la percezione che ne abbiamo. Si susseguono a ritmo continuo le morti sul lavoro mentre i femminicidi punteggiano inesorabilmente e immancabilmente le nostre giornate.
Da una parte, nei posti di lavoro, la morte viene messa in conto come un evento possibile, non certo frequente né auspicabile, da non escludere tuttavia. Come se fosse normale che una persona esce di casa la mattina per andare al lavoro e non vi fa più ritorno: moriturus vos salutat, dovrebbe dire ogni mattina chi va al lavoro. È accettabile?
Quanto ai secondi c’è da notare che l’uccisione, cioè la soppressione del partner, viene considerata e attuata quasi fosse la normale modalità di risolvere i contrasti.
Insomma, considerandolo un po’ da molti punti di vista, non mi pare che stiamo vivendo un buon momento: anche se da qualche parte si ‘spara’ musica esagerata, anche se Mughini e Sgarbi fanno a botte sotto gli occhi di un compiaciuto Costanzo, anche se lo stesso Sgarbi porta in gita sul Po gli spasimanti in occasione dei suoi 70 anni, anche se, insomma, i soliti noti sguazzano nella confusione, nel delirio e nella totale anomia.
Noi?
Intanto sopravviviamo, poi si vedrà.
Vedremo.