MORTE e RESURREZIONE (16-04-2022)

A ben guardare la settimana santa è un po’ il compendio della storia umana e, anche, una descrizione della natura intima degli esseri umani.

Ci sono la convivialità e l’amicizia, il tradimento e la morte, la sofferenza e la resurrezione.

Rispetto alla realtà dei fatti, almeno così come si sono sviluppati fino ad oggi, noto una differenza essenziale: nei riti religiosi il dolore e la morte sono temporanei, passeggeri, mentre la resurrezione, il trionfo della vita e della gioia sono, alla fine, permanenti.

Nella vita terrena, la sofferenza e la morte sono costanti mentre la gioia vera e piena è alquanto episodica.

In questo senso mi sembrano più realistici i racconti con i quali si apre la Genesi: la storia dell’umanità comincia con l’infrazione di un comandamento e con la conseguente punizione. Che è una sorta di maledizione che inchioda al male tutta l’umanità, dall’inizio fino alla fine dei tempi. È chiamato ‘peccato originale’ da cui solo la divinità è stata esentata.

Quella sorta di ‘congenita’ propensione al male si è subito manifestata con l’uccisione di Abele per mano del fratello Caino: continuerà, quindi, in tutte le successive vicende riguardanti sia i singoli che i popoli.

Personalmente non mi sento di abbracciare la teoria di Rousseau: la natura umana sarebbe intrinsecamente buona, è la società che la corrompe.

Mi pare che lo stesso Rousseau in qualche modo si contraddica: illustrando l’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini, scrive che nei tempi più antichi ci furono alcuni che recintarono e resero privati dei terreni che in realtà appartenevano all’intera comunità. Gli altri, anziché impedirlo, stettero a guardare e così nacque la proprietà privata.

Ma se la natura umana era intrinsecamente buona e la società era ai suoi albori, in forza di che cosa quegli uomini hanno sottratto alla comunità una proprietà e l’hanno trasformata in un bene privato?

Mi sembra che colga maggiormente nel segno Immanuel Kant, quando parla di ‘male radicale’.

Che non è, propriamente, una caratteristica negativa innata della natura umana (Kant è stato pur sempre un lettore appassionato di Rousseau) ma è tuttavia una tendenza a compiere il male che può essere o no assecondata dall’uomo libero. Che quindi non è malvagio per natura ma non è nemmeno immacolato e, assecondando quella inclinazione, porta tutta intera la responsabilità delle sue azioni malvagie.

Non credo che gli esseri umani possano mai risorgere definitivamente a nuova vita.

Né ritengo sia positivo coltivare il mito dell’uomo-angelo.

Penso che gli esseri umani potranno veramente migliorare e liberarsi dal male quanto più prenderanno coscienza della propria natura e delle proprie caratteristiche.

Se sono consapevole che potrei commettere una qualsiasi efferatezza, posso attrezzarmi in modo da evitarlo.

Se invece presumo di essere intrinsecamente buono, corro il pericolo di compiere atti profondamente malvagi.

Basta gettare anche una fuggevole occhiata alla storia passata per constatare quante atrocità sono state perpetrate da persone che si ritenevano buone e in pace con la divinità.

Caduta e resurrezione sono i due poli in mezzo ai quali corre tutta l’esistenza umana: non si possono evitare le cadute, così come non possiamo sfuggire alla morte, ma possiamo sperare di risollevarci e di sconfiggere il male, almeno di tanto in tanto.

Per conquistare una resurrezione non definitiva, certo, ma almeno temporanea.

Avremmo raggiunto un invidiabile traguardo se riuscissimo a punteggiare la nostra esistenza di continue resurrezioni, ancorché passeggere.

Il male è legato alla nostra fragilità ma il bene è alla nostra portata.

È questione di scelte.