IL DESERTO dei … BARBARI (15-04-2022)

Il sentimento dominante ‘Il deserto dei tartari’ di Dino Buzzati è quello dell’attesa.

La stessa atmosfera domina il riuscito film di Valerio Zurlini.

A ben vedere gran parte dell’esistenza degli esseri umani si svolge nell’attesa.

Non siamo soliti valutare positivamente questa situazione: l’attesa è spesso carica di tensione, di elettricità, di inquietudine.

Si sa e non si sa e quindi pensiamo di essere pronti a tutto: spesso, in realtà, non si è pronti a niente dato che gli eventi che spazzano via l’attesa arrivano sempre ‘inattesi’.

Se sono negativi ci sorprendono con la loro carica eccessiva, che non ci aspettavamo.

Se sono positivi talvolta ci deludono: nel senso che ci aspettavamo di più e di meglio.

Anche la settimana santa, nel suo complesso, non è che una metafora dell’attesa.

Nella prima fase aspettiamo il tradimento e poi il tragico epilogo della crocifissione.

Eventi negativi che, tuttavia, preludono alla vittoria della Pasqua.

Diciamo che in tutta questa orchestrazione liturgica domina l’aspetto positivo finale: il che non sempre coincide con l’evolversi degli eventi della vita reale.

Prendiamo per esempio le vicende legate alla guerra in corso della Russia contro l’Ucraina: mentre la Russia ammassava truppe ai confini con il suo vicino, eravamo in attesa. Di qualcosa che pensavamo, speravamo, non succedesse ma che poi si è verificato.

E la fine dell’attesa, la guerra appunto, si è rivelata molto peggiore dell’attesa stessa.

Nel libro di Buzzati l’attesa finisce con l’abbandono della fortezza proprio mentre all’orizzonte si materializzano i nemici tanto attesi e l’arrivo della morte. Questa è l’ultima vera battaglia che il militare di lungo corso affronta finalmente consapevole e, in fondo, pacificato con sé stesso.

Nel film di Zurlini la fine è forse più drammatica: il protagonista muore mentre abbandona la fortezza e vede i giovani che salgono per respingere l’attacco dei nemici tanto attesi. Domina un senso acuto di rimpianto e di frustrazione: per aver vissuto ‘inutilmente’ dato che nel momento topico dello scontro tanto atteso si è costretti ad abbandonare il campo e si viene ghermiti dalla morte.

Forse dovremmo apprezzare maggiormente le contingenze dell’attesa senza farci illusioni sul dopo.

Il dopo è spesso dominato dai ‘barbari’, poco inclini al sentimentalismo: o è guastato da quella vena di ‘barbarie’ che alberga nel nostro animo.

L’attesa è sì insicura e agitata ma è anche aperta: adombra gli aspetti più negativi ma è sempre percorsa dalla speranza.

La realtà spegne la fantasia e uccide la speranza.

Accontentiamoci dell’attesa e impariamo a dire e a ripeterci: ça suffit.