È possibile abbandonare per un po’ la gabbia oppressiva della quotidianità?
Estraniarsi per qualche tempo dagli eventi e dalle chiacchiere che tentano di soffocarci?
È possibile spegnere la televisione, oscurare Internet e ritirarsi per qualche tempo nella propria intimità, chiudersi nei propri esclusivi ‘territori’?
Cos’è in fondo l’Ucraina, cos’è la Russia, cosa sono gli USA e cos’è la Cina al cospetto della realtà dell’Universo?
A fronte dello trasbordante chiacchiericcio che ci sommerge verrebbe voglia di riesumare il De contemptu mundi di Bernardo di Cluny (o di Morlaix) o quell’altro di Lotario dei conti di Segni (poi papa Innocenzo III).
«Hora novissima, tempora pessima sunt — vigilemus.
Ecce minaciter imminet arbiter ille supremus.
Imminet imminet ut mala terminet, æqua coronet,
Recta remuneret, anxia liberet, æthera donet.»
(Scriveva Bernardo con tono solenne, con piglio definitivo.)
Siamo nel XII° secolo, in pieno Medio Evo: la pochezza dell’uomo è evidenziata e marcata al cospetto della grandezza e onnipotenza di Dio.
Propone un bagno di umiltà che richiama anche nell’altro notissimo verso, poi modificato e riutilizzato da Umberto Eco.
‘Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus’.
In realtà, per riscoprire un po’ le coordinate che ci riguardano, non c’è bisogno di ricorrere a Dio.
Basta che noi pensiamo all’Universo di cui siamo parte.
Che è fatto di miliardi di galassie, che sono composte da miliardi di stelle, che trascinano nelle loro orbite miliardi di pianeti.
E il tutto si muove a velocità inimmaginabili, quasi impronunciabili.
In questa immensità non ‘s’annega il pensier mio’ ma si chiarisce e riscopre un po’ di autenticità.
Riscopre l’estrema esiguità del nostro pianeta, la sua sostanziale relatività, la radicale irrilevanza nel contesto globale.
Da una parte.
Dall’altra riluce anche la nostra fortuna di poter respirare, vivere e godere di un’infinità di cose belle. Fin che dura.
‘Il disprezzo del mondo’ ha quindi una sua ragion d’essere se ci aiuta ad inquadrare la nostra esistenza e gli eventi ‘terrestri’ tutti nella giusta prospettiva.
Rispetto all’Universo noi siamo meno che formiche che abitano una fortunata zolla periferica.
E noi che cosa facciamo?
Anziché fare in modo che questa ‘fortuna’ coinvolga tutti e duri al più a lungo possibile, ci accapigliamo, lottiamo furiosamente gli uni contro gli altri, ci sbraniamo a vicenda.
Pretendiamo un godimento esclusivo che comporta l’esclusione e lo sterminio di altri nostri simili.
Si dirà che questo è un modo semplicistico di considerare le cose e che in fondo, simili riflessioni non aiutano a risolvere i problemi.
Ma cerchiamo di considerare le cose dal punto di vista che ho proposto: ha senso secondo voi che degli esseri ‘intelligenti’ che hanno avuto la fortuna di abitare questo puntino sperduto nell’immensità dell’Universo, anziché collaborare per vivere al meglio, si combattano e si ammazzino per dei fini egoistici?
Non pensate che se tutti gli esseri umani riscoprissero la loro natura, così eccelsa nella sua intrinseca aleatorietà, potrebbero cogliere ragioni valide e durature per cooperare nella costruzione di condizioni esistenziali dignitose per tutti?
Se no, allora vuol dire che, come specie, siamo un vuoto a perdere, qualcosa di labile e insignificante, degna di quella fine anticipata che con tanta solerte follia si sta preparando.