Dike, secondo la mitologia greca, era la dea che distribuiva ad ognuno secondo gli ordinamenti vigenti.
Figlia di Zeus (Ζεύς) e di Temi (Θέμις), in Esiodo la dea è annoverata tra le Ore (Ὥραι) e quindi ha come sorelle Eunomia (il buon governo) e Eirene (la pace) le quali, come lei, vegliano sulle opere degli uomini.
Dike riferisce a Zeus le colpe degli uomini, a causa delle quali lei si sente lesa.
Quando gli uomini la ignorano o la offendono, lei li insegue piangendo, avvolta in una cupa foschia.
Variamente presentata dagli autori antichi, in epoca moderna è diventata la dea bendata della giustizia che dispensa le sentenze senza badare alla potenza o al lignaggio delle persone.
Stringe nella destra la spada che simboleggia la punizione, cioè la sanzione comminata dalla legge, ma anche la severità della stessa; con la sinistra regge la bilancia che fa riferimento all’attività del giudice, che soppesa le argomentazioni delle parti. La benda rappresenta, invece, la sua imparzialità.
Il nome Nemesi deriva anch’esso dal greco, νέμεσις, da νέμω, distribuire.
La giustizia esercitata secondo i codici giuridici spettava a Dike, mentre Nemesi li oltrepassava, realizzando una giustizia più radicale e primordiale.
Nemesi, quindi, si occupava prevalentemente dei delitti irrisolti o impuniti, perseguendo i malvagi al di là di tutto, anche nel caso fossero stati assolti dai tribunali.
Il termine è poi confluito nell’espressione ‘nemesi storica’ con cui, soprattutto in ambito filosofico e letterario, si fa riferimento ad una sorta di superiore ‘divinità’ (il Fato?) che, ad un certo punto, punisce i misfatti commessi e, in qualche modo, indennizza gli offesi.
Questa sorta di vendetta postuma in genere non riguarda direttamente gli autori dei crimini né le loro vittime dirette: sono in genere i discendenti dei primi a pagare per le malefatte dei loro antenati e, specularmente, sono gli eredi delle vittime ad ottenere soddisfazione.
Chi vuol farsi un’idea di questo ‘meccanismo’ si legga la poesia Miramar del Carducci.
In conclusione: non esiste una giustizia amministrata dagli dei, né sono stati gli dei a dare le leggi agli uomini.
La giustizia la amministrano gli uomini in base al loro livello di sviluppo economico, sociale e culturale.
Esistono delle leggi, fatte dagli uomini, che regolano la convivenza civile: la loro osservanza o meno, con il relativo carico di eventuali sanzioni più o meno pesanti, viene valutata da altri esseri umani.
La giustizia sta tutta qui: un’operazione prettamente umana.
Quanto alla Nemesi non credo esista alcuna divinità vendicatrice dei torti.
Il fatto che i discendenti dei massacratori possano andare incontro alla rovina, magari proprio per opera degli eredi degli antichi oppressi, è qualcosa che appartiene alle dinamiche della storia dei popoli.
Il pensiero che un giorno saranno vendicati non rimuove le sofferenze di chi subisce il danno, né raddoppia la felicità di chi si ritrova alla fine al vertice di un potere rovesciato.
Sono eventi che accadono e che si susseguono, come i cambiamenti climatici o la trasformazione dei costumi.
Mi sento di dire semplicemente questo: quando l’umanità avrà capito che deve considerarsi, tutta, come un’unica comunità, allora la giustizia formale coinciderà sempre più con quella sostanziale e, finalmente, si potrà fare a meno di parlare di Nemesi.