Leggo: tra 10 milioni di anni il Mediterraneo sarà in gran parte prosciugato. Resteranno sparsi qua e là alcuni laghi salati.
L’Africa continuerà ad avvicinarsi all’Europa e spingerà verso l’alto le Alpi che potrebbero diventare una sorta di Himalaya.
Le isole Britanniche navigheranno nell’oceano alla deriva e si avvicineranno all’America.
Nelle epoche successive l’Africa si incuneerà tra l’Europa e l’Asia, il Mediterraneo sparirà completamente e l’Italia diventerà una piccolissima regione del nuovo sterminato continente.
È probabile che tutte le terre emerse si ricompattino per costituire un nuovo Pangea.
La crosta terrestre ha sempre subito evoluzioni di questo tipo: le aree asciutte si sono già compattate e separate più di una volta.
Naturalmente questi cambiamenti non avverranno in sordina, sotto traccia, senza grandi sconvolgimenti: saranno sicuramente accompagnati da terremoti, maremoti ed esplosioni vulcaniche.
È anche facile immaginare che cosa capiterà a tutte le realizzazioni della specie umana nel corso di quelle trasformazioni.
E non so se, in quelle epoche, ci sarà ancora un rappresentante della nostra specie ad aggirarsi per le terre o sugli oceani.
Perché, a parte tutte le altre non trascurabili eventualità – l’impatto con un altro corpo celeste, per esempio – potremmo essere noi a mettere fine a noi stessi: con l’impiego degli innumerevoli e terribili ordigni bellici sparsi un po’ in tutto il mondo o con l’adozione di sempre più dissennate politiche di sfruttamento dell’ambiente.
A volte ho l’impressione che la nostra specie sia orientata a fare karakiri molto prima dei su menzionati sconvolgimenti.
Per nostra sfortuna, rispetto alla sopravvivenza, non siamo dotati di irresistibili istinti.
Abbiamo una certa capacità razionale che ci fa intravedere i fini e gli strumenti per conseguirli ma il suo potere sulla volontà è alquanto limitato.
Non solo: nei confronti di passioni e pulsioni è addirittura evanescente.
Per imboccare la strada giusta abbiamo bisogno di una ‘bella’ catastrofe: pare che solo i disastri siano in grado di mettere la sordina alle pulsioni e di porre la volontà al servizio della ragione.
Che cosa dobbiamo augurarci?
Un mezzo disastro che ci faccia rinsavire? (A patto, naturalmente, che si verifichi lontano da noi).
O, per essere più ottimisti, un rigurgito di saggezza auto-conservativa che ci spinga ad impiegare risorse ed energie per vivere al meglio, almeno fintantoché non si verifichi l’irreparabile catastrofe finale?
A noi la scelta, direbbe Jacques Monod.